Ricorso  della  Regione  Piemonte,  con  sede  in  Torino,  P.zza
Castello n. 165, Cod. Fisc.  80087670016  -  P.  IVA  02843860012  in
persona del Presidente della Giunta legale rappresentante pro-tempore
On.le Avv. Roberto Cota, a cio' autorizzato con deliberazione assunta
dalla  Giunta  regionale  in  data  30  dicembre  2013,  n.   2-6970,
rappresentata e difesa ai fini del presente giudizio dall'Avv.  Prof.
Carlo  Emanuele   Gallo   (Cod.   Fisc.   GLLCLM51R12L219K   -   pec.
avvcarloemanuelegallo01@pec.ordineavvocatitorino.it      -       Fax.
011/4333081), dall'Avv.  Prof.  Roberto  Cavallo  Perin  (Cod.  Fisc.
CVLRRT59E29E379L                        -                        pec.
robertocavalloperin@pec.ordineavvocatitorino.it - Fax. 011/8600018) e
dall'Avv.  Carlo  MERANI  (Cod.   Fisc.   MRNCLL63H23F205J   -   pec.
carlomerani@pec.ordineavvocatitorino.it -  Fax.  011/5075818),  tutti
del Foro di Torino, ed elettivamente  domiciliata  presso  lo  studio
dell'Avv.  Gabriele  Pafundi   del   Foro   di   Roma   (Cod.   Fisc.
PFNGRL57B09H501K - pec. gabrielepafundi@ordineavvocatiroma.org - fax:
06/3212646), in Roma, Viale Giulio Cesare  n.  14,  come  da  procura
speciale a margine del presente atto; 
    Avverso il decreto pronunziato dalla Corte dei  Conti,  Sez.  III
Giurisdizionale Centrale d'Appello, in data 8 novembre 2013,  n.  14.
comunicata alla Regione Piemonte il 21 novembre  successivo,  che  ha
ordinato ai Capigruppo del Consiglio Regionale del Piemonte in carica
nel quinquennio 2003 - 2008 di depositare presso la Segreteria  della
Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Piemonte
i conti giudiziali relativi alla gestione dei  fondi  dei  rispettivi
gruppi. 
 
                                Fatto 
 
    Con nota in data 21 novembre 2013, prot. n. G/19247,  la  Procura
Regionale presso la Sezione Giurisdizionale  per  il  Piemonte  della
Corte dei Conti ha trasmesso al Presidente della Regione Piemonte  il
decreto pronunziato dalla Corte dei Conti, Sez.  III  Giurisdizionale
Centrale d'Appello, in data 8 novembre 2013, n. 14 che ha ordinato ai
Capigruppo del Consiglio  Regionale  del  Piemonte  in  carica  negli
esercizi finanziari 2003 - 2008 di presentare  presso  la  Segreteria
della Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti  per  la  Regione
Piemonte i conti giudiziali relativi  alla  gestione  dei  contributi
ricevuti per l'attivita' del gruppo stesso. 
    Il decreto, come emerge dal medesimo,  ha  fatto  seguito  ad  un
reclamo proposto dalla Procura Regionale della Corte  dei  Conti  del
Piemonte avverso l'ordinanza della Sezione giurisdizionale  regionale
per la Regione Piemonte in data 4  luglio  2013,  n.  17,  che  aveva
respinto la medesima istanza (ne' il reclamo della Procura  Regionale
ne' la pronunzia della Sezione regionale per il Piemonte erano  stati
comunicati alla Regione). 
    Ritiene la Regione Piemonte che  il  decreto  della  III  Sezione
Giurisdizionale  Centrale  d'Appello  violi  le  attribuzioni   della
Regione Piemonte, costituzionalmente garantite. 
    La violazione viene contestata con  riferimento  a  due  distinti
motivi: in primo luogo,  perche'  la  Corte  dei  Conti  pretende  di
assoggettare al  rendiconto  contabile  l'attivita'  dei  gruppi  del
Consiglio  regionale  del  Piemonte  in   assenza   di   qualsivoglia
disciplina statutaria o legislativa anche  regionale  in  merito,  in
violazione degli artt. 103, 121, 122 e  123  della  Costituzione;  in
secondo luogo, perche' la Corte dei conti pretende di  attribuire  la
qualifica di agente contabile al Presidente dei gruppi del  Consiglio
regionale in assenza di  qualsivoglia  intermediazione  statutaria  o
legislativa regionale, in violazione degli  artt.  5,  97,  114,  119
della Costituzione. 
    Per questa ragione, onde ottenere l'annullamento  del  richiamato
decreto, la regione Piemonte, a cio'  autorizzata  con  deliberazione
della Giunta regionale, su sollecitazione del Consiglio di Presidenza
del Consiglio regionale, impugna il decreto di cui in epigrafe, per i
seguenti motivi di Diritto 
1) Violazione di legge, con riferimento agli artt. 103, 121, 122, 123
della Costituzione. 
    I gruppi del Consiglio regionale sono articolazioni  interne  del
Consiglio regionale medesimo e  partecipano  all'attivita'  politica,
legislativa e amministrativa del Consiglio regionale stesso. 
    Si tratta di entita' particolarmente  rilevanti,  come  e'  stato
autorevolmente  riconosciuto  anche  in  letteratura,  in  tempi  non
sospetti: «l'importanza dei gruppi - testimoniata  dalla  circostanza
che in varie regioni essi traggono dal bilancio  consiliare  i  mezzi
necessari per lo svolgimento delle loro funzioni  -  e'  determinante
sia nell'esercizio delle attivita' sia nella costituzione degli altri
organi interni del Consiglio» (L. Paladin, Diritto regionale, Padova,
Cedam, 1992, p. 331). 
    Lo statuto della  regione  Piemonte  disciplina  l'attivita'  dei
gruppi in piu' punti  ed  attribuisce  ad  essi  anche  una  apposita
contribuzione, come risulta  dagli  artt.  18,  21,  24  e  29  dello
Statuto. 
    In tutta la loro attivita', anche per quanto concerne la gestione
dei contributi ad essi assegnati, i gruppi  rispondono  al  Consiglio
regionale, come stabilisce, appunto, il precitato art. 29. 
    La rendicontazione al  Consiglio  regionale  costituisce  l'unica
forma di rendiconto prevista  dallo  Statuto,  come  e',  del  resto,
confermato dalla legge regionale specifica  in  materia,  che  e'  la
legge regionale 10 novembre 1972, n. 12. 
    Il ruolo ed il valore dei gruppi regionali e' stato  riconosciuto
anche dal legislatore  statale,  che  ha  parimenti  disciplinato  la
relativa contribuzione, rimettendo  ogni  verifica  alla  regione  ed
escludendo  qualsivoglia  controllo  amministrativo,  secondo  quanto
stabilito dalla legge statale 6 dicembre 1973, n. 853. 
    Il ruolo e la funzione svolti dai gruppi del Consiglio regionale,
richiedono, per  poter  essere  esercitati  con  l'autonomia  che  e'
riconosciuta al legislatore, sia pure nel quadro costituzionale,  una
specifica garanzia,  che  e'  costituita  dalla  immunita'  stabilita
dall'art. 122 della Costituzione. 
    Codesta stessa ecc.ma Corte costituzionale  ha  invero  affermato
che nell'ambito di quella immunita' vi e' in generale l'attivita' dei
gruppi, anche per quanto concerne la gestione delle proprie spese,  e
cioe' l'utilizzazione dei contributi che vengono loro assegnati. 
    Questa  guarentigia  vale  anche  nei  confronti   dell'attivita'
giurisdizionale della Corte dei conti, poiche' codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale ha in piu' occasioni affermato che  non  e'  possibile
riconoscere in capo al procuratore della Corte dei conti «un munus di
controllo generalizzato su qualsiasi atto  di  gestione  ordinaria  o
straordinaria facenti capo all'entita' genericamente individuata  nel
gruppo  parlamentare   recante   una   certa   denominazione;   cosi'
ineluttabilmente  compromettendo  anche  la  sfera  della  dimensione
funzionale   che   caratterizza   l'attivita'   dei   gruppi,    come
articolazione dell'assemblea regionale  e  come  momento  aggregativo
strettamente  raccordato  alle  attribuzioni  politico   parlamentari
dell'assemblea stessa, presidiate a livello  di  normativa  di  rango
costituzionale» (in questi esatti termini e' la  sentenza  25  luglio
2005, n. 337). 
    Ora, la pretesa della Corte dei Conti di esercitare il  controllo
contabile, attraverso il relativo giudizio, su tutta l'attivita'  dei
Gruppi consiliari, ordinando il deposito del rendiconto,  costituisce
proprio quel controllo generalizzato di  natura  giurisdizionale  che
codesta Ecc.ma Corte ha ritenuto non possa essere esercitato. 
    Cio' non comporta che  l'immunita'  riconosciuta  ai  Consiglieri
Regionali e ai gruppi  consiliari  sia  assoluta,  tale  da  impedire
qualunque iniziativa giurisdizionale in merito; comporta soltanto che
non e' possibile un controllo generalizzato qual e'  il  giudizio  di
conto, essendo ammissibile soltanto un'azione puntuale del competente
organo della responsabilita'  amministrativo-patrimoniale,  allorche'
siano accertati o quanto meno esattamente  identificati  episodi  nei
quali la gestione dei fondi non  sia  riconducibile  alle  regole  di
correttezza  che  devono  ispirare   il   comportamento   di   organi
costituzionali. 
    Al di fuori di questa  ipotesi  nessun  sindacato  e'  possibile,
come, del resto, codesta Ecc.ma Corte Costituzionale ha  riconosciuto
allorche' ha ritenuto impossibile la sottoposizione  al  giudizio  di
responsabilita' dell'Ufficio di Presidenza  del  Consiglio  Regionale
con riferimento a determinate spese per  attrezzature  necessarie  al
funzionamento dell'organo regionale (sentenza 30 luglio 1997, n. 289)
o  allorche'  ha   ritenuto   che   non   sia   possibile   sindacare
l'opportunita'   dell'autorizzazione   ai   viaggi   dei   componenti
dell'Ufficio di Presidenza se non allorche' sia  dimostrata  la  loro
estraneita'  all'autonomia   funzionale   del   Consiglio   Regionale
(sentenza 22 ottobre 1999, n. 392). 
    E' percio' da escludere che alla Corte dei Conti spetti il potere
di  sottoporre  al  giudizio  di  conto  i  Presidenti   dei   Gruppi
consiliari, poiche' il giudizio di conto, cosi' come strutturato,  e'
per l'appunto il controllo  generalizzato  dell'intera  gestione  del
gruppo, che e' quel tipo di incidenza nella sfera dell'autonomia  del
gruppo stesso che non e' riconosciuta ad alcuno se  non  allo  stesso
Consiglio Regionale. 
    Non valgono, in contrario, gli argomenti sviluppati  dalla  Corte
dei Conti, Sez. III Giurisdizionale Centrale d'Appello,  nel  decreto
qui impugnato. 
    Sostiene, infatti, la Corte  dei  Conti,  nella  motivazione  del
provvedimento, che il giudizio di  conto  costituirebbe  un  naturale
risvolto del maneggio di pubblico denaro, di cui sarebbe una naturale
e par di comprendere imprescindibile conseguenza. 
    Un'affermazione di questo genere, invero, e' totalmente dimentica
del sistema  della  immunita',  che  in  quanto  immunita'  significa
esclusione dalla generalizzata sottoposizione a controllo. 
    Quello che per tutti coloro che  maneggiano  pubblico  denaro  e'
naturale, e cioe' la sottoposizione al  giudizio  di  conto,  non  e'
invece previsto per chi e' immune, e cioe' escluso  da  cio'  che  e'
naturale per essere assoggettato soltanto  a  quanto  il  legislatore
costituzionale ritiene indispensabilmente necessario. 
    L'orientamento di codesta ecc.ma Corte, laddove, nelle  pronunzie
gia' richiamate, ha escluso il generalizzato controllo vale anche con
riferimento  a  questa  concezione  del   giudizio   contabile   come
generalizzata conseguenza del maneggio di denaro. 
    Ne' rileva il fatto che il giudizio  contabile  sia  svolto,  sia
pure attraverso  forme  improprie  che  necessiterebbero  di  un  ben
incisivo adeguamento ai nuovi principi  costituzionali,  dalla  Corte
dei conti. 
    Cio' che rileva con riferimento all'immunita' e' che il controllo
contabile e' configurato come generalizzato: l'immunita'  esclude  il
controllo generalizzato, si ripete, e consente soltanto il  riscontro
puntuale di fattispecie devianti. 
    In contrario non vale quanto affermato da  codesta  ecc.ma  Corte
nella sentenza 25 luglio 2001, n. 292. 
    Questa pronunzia, infatti, dopo aver ribadito  l'esistenza  della
immunita' dei consiglieri, afferma  che  puo'  essere  sottoposta  al
giudizio di conto «l'Amministrazione consiliare» e  cioe'  l'apparato
amministrativo servente il consiglio. 
    In quella fattispecie, l'apparato amministrativo era un  istituto
di credito, in quanto tale percio' ben distinto dal consiglio stesso;
la Corte afferma che assoggettabile al giudizio puo' essere anche  il
funzionario del consiglio e non esclude, ma  in  via  ipotetica,  che
possano essere sottoposti al giudizio di conto anche  componenti  del
consiglio, che svolgano funzioni di operatori finanziari e contabili. 
    Si tratta di una vicenda che  non  e'  comparabile  a  quella  in
esame, nella quale la Corte  dei  conti  pretende  di  sottoporre  al
giudizio di conto  tutti  i  capi  dei  gruppi  consiliari,  e  cioe'
soggetti che hanno una funzione squisitamente politica  e  non  hanno
invece una funzione amministrativa. 
    Attraverso il controllo sui capi dei gruppi consiliari si viene a
organizzare un controllo  generalizzato  sul  versante  politico  del
consiglio regionale, controllo generalizzato che non e' possibile. 
    La Corte dei conti da per assodato, in via generale  e  astratta,
che ogni attivita' di spesa sia riconducibile  al  capogruppo,  senza
nemmeno porsi il problema se  vi  siano  per  caso  soggetti  diversi
coinvolti o se la riconducibilita'  al  capogruppo  delle  operazioni
cosiddette finanziarie o contabili non sia se  non  un  istituzionale
risvolto della sua funzione politica. 
    Mai codesta ecc.ma Corte, nella sentenza  n.  292  del  2001,  e'
giunta a queste conclusioni. 
    L'argomentare  della  sentenza,   laddove   fa   riferimento   al
consigliere regionale, considera un'ipotesi che nella fattispecie non
si verificava ed ammette in  astratto  che  un  consigliere  che  sia
incaricato di operazioni finanziarie e contabili  nell'interesse  del
consiglio. 
    Nei  gruppi  consiliari  il  Presidente  non  e'  un  consigliere
delegato alla spesa, ma e' il vertice del gruppo, che cumula  in  se'
le funzioni politiche e organizzative. 
    Ipotizzare il suo generalizzato coinvolgimento  nel  giudizio  di
conto significa eliminare in radice l'immunita' di gruppo consiliare. 
    Quanto detto, del resto, e' comprovato da una circostanza che  il
decreto della Sezione regionale ha senza ragione svilito, e cioe' dal
fatto che, sino ad ora, nessuna Procura  Regionale  della  Corte  dei
Conti e nessuna Sezione Regionale della Corte  dei  Conti  hanno  mai
avviato un giudizio di conto nei confronti dei capigruppo consiliari. 
    Il giudizio di conto e' stato  avviato  soltanto  nell'anno  2013
prima dalla Procura della Corte dei Conti per la Regione  Toscana  (e
il relativo giudizio sul conflitto pende avanti codesta ecc.ma Corte)
poi dalla Procura della  Corte  dei  Conti  della  Regione  Piemonte,
nell'atto sul quale si e' pronunciata la III Sezione  Giurisdizionale
d'Appello con il decreto qui contestato. 
    Il fatto che mai nessuno abbia attivato il  giudizio  di  contro,
pur in presenza di una gestione dei conti affidata esclusivamente  al
riscontro del Consiglio  regionale,  avra'  pur  un  significato:  si
tratta di un orientamento che corrisponde  alla  convinzione  diffusa
che il giudizio di conto non fosse praticabile. 
    Nei rapporti tra i poteri dello Stato nonche' tra i poteri  dello
Stato  e  le  Regioni  hanno  rilievo  anche  aspetti  giuridici  non
consacrati  in  fonti  formali  ma  affidati  a  comportamenti,  vuoi
consuetudinari vuoi convenzionali. 
    Codesta ecc.ma Corte costituzionale,  nella  sentenza  10  luglio
1981, n. 129, relativa all'esonero dei  tesorieri  della  Camera  dal
controllo della Corte dei Conti, ha affermato che si  era  instaurata
una ormai «antica prassi» che escludeva detti tesorieri dal controllo
contabile. 
    Questa antica prassi  si  e'  sicuramente  instaurata  anche  con
riferimento ai Capigruppo del Consiglio Regionale, questa  prassi  e'
perdurata fino all'approvazione del d.-l. 10 ottobre  2012,  n.  174,
convertito in legge 7 dicembre 2012, n. 213, che ha previsto  per  la
prima volta  un  obbligo  di  rendicontazione  da  parte  dei  Gruppi
Consiliari. 
    E' evidente, alla luce di quanto  detto,  che  viola  l'autonomia
della  Regione  e  costituisce  l'esercizio  di  un  potere  che   la
Costituzione non attribuisce allo Stato il comportamento della  Corte
dei Conti, consacrato nel decreto qui impugnato, che per  il  periodo
antecedente pretende di applicare il medesimo  meccanismo  introdotto
dalla disciplina del 2012. 
    Quest'applicazione retroattiva non e' possibile, come  del  resto
ha riconosciuto a proposito del controllo  la  stessa  Sezione  delle
Autonomie della Corte dei Conti nella deliberazione 5 luglio 2013, n.
15 (anche se da quell'affermazione non ha tratto tutte le  necessarie
conseguenze), anche  perche',  come  e'  ben  noto,  i  mutamenti  di
orientamento giurisprudenziale non possono avere effetto retroattivo,
stante il noto divieto di overruling. 
    Da cio', innanzitutto, le censure di cui in rubrica. 
2) Violazione di legge, con riferimento agli artt. 5, 97,  114,  117,
118, 119 Cost. 
    L'affermazione  della  Corte  dei  Conti,   sez.   III   Centrale
Giurisdizionale d'Appello, laddove qualifica i Presidenti dei  Gruppi
Consiliari come agenti contabili, costituisce  una  violazione  delle
attribuzioni     regionali     perche'     individua      all'interno
dell'Amministrazione  regionale  e  per  di  piu'   all'interno   del
Consiglio regionale un agente contabile in  difetto  di  qualsivoglia
previsione legislativa o statutaria  regionale  (e  per  il  vero  il
difetto di ogni e qualsivoglia previsione statale). 
    E' ben noto che per le Amministrazioni regionali, che  godono  di
autonomia legislativa, e' a maggior ragione  applicabile  il  dettato
della legge statale secondo la  quale  mentre  per  l'Amministrazione
statale il contabile e' individuato in colui che  gestisce  i  fondi,
per le Amministrazione  diverse  dallo  Stato  occorre  una  apposita
previsione normativa. 
    In questi termini statuisce, infatti, l'art. 44, comma primo, del
regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, che dispone che la  Corte  dei
conti giudica sui conti dei tesorieri e  agenti  di  altre  pubbliche
amministrazioni, diverse da quelle statali, «'per quanto le spetti  a
termini di leggi speciali». 
    La  necessita'  della  interpositio  legislatoris,  se  puo'  non
rilevare ai fini della competenza giurisdizionale, rileva  senz'altro
in ordine alla individuazione del contabile. 
    A' sensi dell'art. 117 Cost., infatti, la materia della tutela in
sede giurisdizionale, volendo ricomprendere in quest'ambito anche  il
giudizio di contabilita', e'  materia  statale,  ma  l'individuazione
dell'agente contabile non e' materia statale ma e' materia attribuita
alle singole Regioni. 
    In questi termini, del resto, dispone l'art.  119,  primo  comma,
della Costituzione. 
    Nella Regione Piemonte e' pacifico, per quanto gia' si e'  detto,
che i Presidenti dei Gruppi consiliari non sono agenti contabili:  ad
essi, infatti, la legislazione regionale, a partire dalla legge n. 12
del 1972, non ha  mai  attribuito  questa  qualifica  e  non  ha  mai
attribuito le conseguenti funzioni e responsabilita'. 
    La qualificazione quali agenti contabili, in difetto di  espressa
attribuzione, non puo' percio' essere effettuata  nei  confronti  dei
Presidenti dei Gruppi consiliari in via interpretativa. 
    Cio' non significa che la Corte dei conti, ove  lo  ritenga,  non
possa effettuare il giudizio di conto sull'Amministrazione regionale,
ma significa soltanto che questo giudizio di conto potra'  celebrarlo
soltanto se individuera' un altro soggetto diverso dal Presidente del
gruppo   consiliare,   al   quale   imputare   questa   funzione    e
responsabilita'. 
    In contrario non vale il fatto che la legge regionale attribuisca
al  Presidente  del  Gruppo  il  compito  di  riferire  al  Consiglio
regionale in ordine alle spese  del  Gruppo  stesso,  poiche'  questo
riferire e' un riferire che nasce e muore all'interno  del  Consiglio
regionale e non ha nessuna altra rilevanza: si tratta, del resto,  a'
sensi dell'art. 4 della legge n. 12 del 1972, sostituito dalla  legge
9 dicembre 1980, n. 77 e piu' volte modificato, di una semplice «nota
riepilogativa»,  che  contiene  «notizie»  fornite   all'ufficio   di
Presidenza. 
    E' questo un rapporto interno ad un corpo legislativo, che assume
rilievo in ordine all'attribuzione delle risorse, alla verifica sulla
loro utilizzazione, alla gestione dei residui, ma che non ha  nessuna
rilevanza esterna, in quanto non puo' essere assimilato ad  un  conto
giudiziale. 
    L'attivita' del Presidente del gruppo consiliare  potrebbe  avere
rilevanza esterna soltanto se la legge regionale lo prevedesse: ma la
legge  regionale,  nello  stabilire  che  il  Presidente  del  Gruppo
Consiliare riferisca soltanto al Consiglio Regionale, esclude appunto
questa possibilita'. 
    Anche per questa ragione, pertanto, il giudizio di conto non puo'
essere celebrato e l'iniziativa della Sezione  giurisdizionale  della
Corte dei conti lede le attribuzioni della  Regione  Piemonte,  unica
competente a deliberare in merito (compilazione percio'  anche  degli
artt.  5,  114,  117  e  118  Cost.),  cosi'  alterando  la   normale
qualificazione   dell'Amministrazione   regionale   (con   violazione
dell'art. 97 della Costituzione).